giovedì 17 gennaio 2013

Da donna a donna, intervista a Mariella Gramaglia/Maddalena Vianello

“Due o tre cose che sappiamo sul femminismo che verrà”
di Francesca Caferri da La Repubblica, 17 gennaio 2013
Ci sono le rose e le spine. C’è il coraggio di mettersi a nudo. C’è la Storia, quella dell’Italia degli ultimi cinquant’anni. Ci sono i ricordi amari e quelli allegri. Ci sono l’etica, la fede, e la ricerca della spiritualità attraverso sentieri non scontati. Ci sono la leggerezza e la voglia di combattere per un futuro migliore: in nome delle generazioni presenti e di quelle che verranno. E, soprattutto, c’è la voglia di parlarsi, davvero. Come sempre più raramente accade. Hanno scelto un titolo semplice,
Fra me e te: madre e figlia si scrivono, Mariella Gramaglia e Maddalena Vianello per portare in libreria la raccolta di pensieri che, per oltre un anno si sono scambiate via email: da madre a figlia all’inizio, come donne di generazioni diverse a confronto su un piano di parità mano a mano che scorrono le pagine. La prima, Mariella, giornalista, ex parlamentare, figura di primo piano nella storia del femminismo italiano. La seconda, Maddalena, sua figlia maggiore: 34 anni, una laurea a pieni voti, il master a Londra, oggi assegnista di ricerca all’università di Modena e Reggio Emilia. Un confronto durato una vita e divenuto impellente nelle giornate di inizio 2011, quando al paese che si interrogava sul caso Ruby le donne italiane risposero scendendo in piazza in
oltre un milione al grido di “Se Non Ora Quando”. «Tu non eri in grado di partecipare, io sono andata per me e per te», scrive Maddalena alla madre, in un ideale passaggio di testimone fra le generazioni.
Come è nata l’idea del libro?
Gramaglia: «L’idea è stata di Maddalena. Non era un libro per il pubblico, poi abbiamo cambiato idea. Nasce da molte cose: dolori e gioie private, ma anche da un momento pubblico come la manifestazione del febbraio 2011 e dalla reazione di Maddalena, dal suo scoprire la voglia di stare con le donne e quindi di parlarne. Abbiamo iniziato a scriverci e a poco a poco ci siamo scoperte non più solo madre e figlia, ma entrambe un po’ madre e un po’ figlia».
Vianello: «A muoverci è stata la voglia di arrivare al fondo di temi di cui parlavamo da sempre, ma che a parole non riuscivamo ad approfondire. Quando si parla si può svicolare: lo scrivere invece ti inchioda alla responsabilità di arrivare in fondo».
Lei, Maddalena, non risparmia rimproveri a sua madre, che del femminismo è stata una delle protagoniste.
Vianello: «Il femminismo è qualcosa che accompagna la mia vita da sempre: un’eredità importante che mia madre mi ha regalato e che, lo sapevo bene, andava difesa, perché certe battaglie non necessariamente sono vinte per sempre. Ma era anche un pezzo di storia privata: nel mio universo di bambina era complicato capire cosa altro avesse da fare mia madre oltre a prendersi cura di me. Il femminismo, la politica, le donne la chiamavano. Non per questo ho affrontato il tema con rancore, ma qualche critica nel libro l’ho tirata fuori».
Quali sono le critiche?
«Penso che a un certo punto la riflessione delle donne si sia fermata: non si sono espresse su cose importanti, come il precariato, che non è solo un problema di lavoro, ma di vita, perché in discussione, di sei mesi in sei mesi, ci sono tutti i tuoi progetti. Le femministe di questo non hanno parlato: ci hanno consegnato quello che la mamma chiama “il cestino dei regali”. Pieno di cose importanti: l’emancipazione delle professioni, la libertà nella famiglia, i diritti. Ma oggi i nostri problemi sono anche altri: le donne sono le più brillanti negli studi ma le più disoccupate; fanno pochi figli perché se non hanno un lavoro non lo troveranno mai più e se ce l’hanno temono di perderlo. Lo scrivo in una email piena di rabbia: “Mamma, la situazione è sconfortante. Mi avevi raccontato che il mondo era diverso, che essere donna era una cosa diversa. E io ti avevo creduto. Invece il cestino dei regali è talmente impolverato da sembrare vuoto”».
Mariella, a riempirlo quel cestino, ha contribuito molto anche lei: fa male sentirsi dire che non basta?
Gramaglia: «Sì: a lungo avevo pensato che il femminismo fosse l’unica rivoluzione del dopoguerra che aveva avuto successo. Eravamo passati da una cultura fatta di regole e imposizioni, come quella in cui ero cresciuta io, a quella della libertà che ho trasmesso ai miei figli. Ho faticato a capire che per Maddalena e le sue amiche il problema era un altro, che la loro frontiera era difendere il diritto all’autonomia in una vita dove tutto è precario, instabile».
Ha fatto mea culpa?
Gramaglia: «Ho ammesso che la mia generazione forse è stata un po’ utopista: ho sempre pensato che non c’era bisogno di essere ricchi e sgomitanti per arrivare, che era importante dare ai figli una degna formazione e insegnare loro che bisognava farla fruttare: per me questo era un lascito sufficiente. Sentirsi dire che non è così non è stato facile».
C’è una giornata che segna una svolta, il 13 febbraio 2011. Mariella è in ospedale, Maddalena va per tutte e due: è come un passaggio di fiaccola. Che significato ha avuto quel giorno?
Vianello: «Per me è stata una boccata di ossigeno: la prima grande manifestazione delle donne sui problemi delle donne.. Ho pensato: “Siamo vive e vogliamo combattere. Siamo qui”. Non è stata solo una protesta contro Berlusconi, ma una grande chiamata intergenerazionale che è riuscita a riunire donne diverse come mai prima».
Gramaglia: «Io non avevo più illusioni che il femminismo potesse tornare: e invece eccole là, tante donne giovani che si proponevano come leader. Confesso, non ci credevo più: è stata un’emozione. Come lo è stato vedere mia figlia e le sue amiche ribellarsi all’immagine della donna che veniva presentata dai media e dalla televisione. Un’immagine che era ovunque e faceva male a loro prima di tutto, quella di una donna priva di alcuna autonomia rispetto a un immaginario maschile perverso: un’immagine che purtroppo è penetrata nella società, ha invaso i luoghi di lavoro e gli spazi della vita quotidiana».
Oggi che cosa è rimasto dell’energia di quel giorno? Molti dicono che si sia spenta, che sia stata solo una fiammata dovuta alla rabbia di quel momento…
Gramaglia: «Distinguerei fra la sigla del movimento che organizzò la manifestazione, Se Non Ora Quando appunto, e quello che si è acceso il 13 febbraio 2011. Le sigle vanno e vengono: ma quel giorno è cambiato qualcosa, è stato girato un interruttore. Abbiamo visto le donne trionfare alle primarie del Pd e di Sel, e il 40 per cento dei nomi delle liste di questi partiti sono donne, e anche gli altri hanno dovuto tenerne conto. Le donne sono lì perché votate dalla base, maschile e femminile, non perché chiamate dal principe buono: ecco dove è andata quella energia. Così come è andata nella battaglia contro la violenza, che è mondiale e non solo italiana, come ci dimostra l’India. Tutto questo mi fa dire che si può aprire una nuova fase».
Vianello: «Neanche io penso che l’energia sia andata perduta. Se Non Ora Quando ha mostrato che un altro modello era possibile: che non occorreva, come dicono certe femministe, “uccidere” la propria madre per andare avanti, che si poteva siglare un patto fra le generazioni di donne. Tutte abbiamo delle cose per cui combattere: possiamo farlo insieme, indipendentemente dalle sigle».

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