lunedì 10 marzo 2014

Quote rosa? No, i capolista divisi a metà

10 marzo 2014 alle ore 11.07
pubblicato su "la Tribuna di Treviso", domenica 9 marzo 2014

Quote rosa o quote blu? Vorrei che si smettesse di parlare di quote rose. Le quote sono un istituto utilizzato per garantire rappresentanza alle minoranze etniche, linguistiche o religiose, per difendere chi rischia di essere schiacciato da una maggioranza enormemente superiore. Le donne però non sono una minoranza in questo paese, anzi, a ben vedere compongono il 52% della nazione. Quindi sono la maggioranza, non può essere riservato loro una quota rappresentativa, in una politica comunque coniugata al maschile.

L'Italia è l'unico paese in cui si parla di “quote rosa”, in tutti gli altri stati europei la questione ruota attorno alla “parità tra generi”. I due concetti sono ben diversi: il primo presuppone che, per grazia ricevuta, una minoranza riceve una piccola rappresentanza dalla maggioranza che ne avrebbe diritto; il secondo che si vuole garantire un maggior equilibrio tra società e organi rappresentativi. Questa è la causa per cui dobbiamo batterci: garantire che una società più o meno distribuita equamente tra i due sessi, sia rappresentata in maniera equilibrata negli organi deputati a questo.

L'Italia ha fatto un passo da gigante con l'ultima tornata elettorale, rimettendosi quasi in linea con gli altri paesi europei. Questo è stato possibile grazie ad accorgimenti presi da alcuni partiti, ma è ora il momento di rendere sistematico il pareggio tra uomini e donne in Parlamento e negli altri organi del governo. Non c'è modo di garantire con assoluta certezza che il giorno dopo le elezioni ci siano il 50% di parlamentari donne e il 50% di uomini (o 52% contro 48%, come sarebbe ancor più corretto). Anche se ci fosse, vorrebbe dire limitare la libertà del voto, incanalando alcuni candidati/e su corsie preferenziali che li porterebbero in Parlamento solo in quanto uomini o donne. Si può però garantire che le percentuali non si distacchino molto dalla metà. Basterebbero due semplici accorgimenti: dividere a metà i capolista tra uomini e donne e l'alternanza tra i generi nei listini dell'Italicum. Su questo rischia di arenarsi la riforma elettorale, per le rigidità di Forza Italia, soprattutto.

Le parlamentari e le senatrici si stanno unendo perché su questo punto non si facciano compromessi al ribasso. La nuova legge elettorale dovrà garantire la vera parità tra i generi. Ridurre tutto alla parità di presenza, senza indicazioni su come questa presenza debba essere articolata, è una presa in giro delle rivendicazioni delle donne, un escamotage per fingere una vera parità. Renzi appoggi questa giusta richiesta, lo facciano ancor di più le ministre del governo, lo facciano, infine, tutti i deputati e i senatori uomini, perché un Parlamento più equo è una risorsa per tutti. È triste vedere che su questo punto ci sia la resistenza anche di una sola persona. Il caso vuole che la vicenda capiti nei giorni della festa dell'8 marzo. Il governo ha l'occasione di fare il più bel regalo alle donne italiane. La parità nei listini sarebbe un ramoscello di mimosa, bella, ma che presto sfiorisce, una vera uguaglianza in Parlamento, sarebbe come piantare un albero di mimose in giardino, che ci rinnovi ogni giorno con il suo colore e il suo profumo.

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