di Annalisa Cuzzocrea, La Repubblica, 4 agosto 2012
— Stavolta no, non è un contentino. Il regolamento approvato ieri dal
Consiglio dei ministri – in applicazione della legge varata un anno fa
sulle quote rosa nei consigli di amministrazione – è destinato ad
attuare una rivoluzione nelle società italiane controllate dallo Stato.
Che dovranno avere nei loro cda e nei loro collegi sindacali almeno un
terzo del genere meno rappresentato. Tradotto, almeno un terzo di donne.
E quindi Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Rai, Sace, Cassa depositi e
prestiti, Finmeccanica, Fintecna, Anas: sono 25 le società che dipendono
direttamente dal ministero dell’Economia, 89 le controllate
di secondo livello, 2.100 le partecipate con oltre il 50 per cento dagli
enti locali. Facendo i conti, tra il 2012 e il 2015, dovranno trovar
posto al loro interno 6.500 consiglieri e 3.500 sindaci donna. È questa,
la rivoluzione. «Un’altra importante tappa nel cammino verso
l’affermazione di una nuova cultura della parità di genere», dice Elsa
Fornero. Si augura, il ministro del Welfare, che la decisione «sia un
buon esempio per la politica. Che non si debba, con rammarico,
registrare
l’assenza di candidature femminili come pare essere il caso delle
prossime elezioni in Sicilia». Lo stesso auspicio arriva da Anna
Finocchiaro, la presidente dei senatori pd che – come altre sue
colleghe, tanto a destra quanto a sinistra – plaude alla legge: dalla
presidente della fondazione Bellisario e deputata pdl Lella Golfo, che
per prima l’ha promossa, a Chiara Moroni di Fli, fino all’ex ministro
Mara Carfagna («una giornata storica»). Non un uomo fino a tarda sera,
quando appare, timida, una dichiarazione del capogruppo pdl Fabrizio
Cicchitto.
Roba da femmine, penseranno gli altri. Potrebbe non essere così. Perché
se davvero ci sarà posto per tante donne in più (oggi la percentuale
rosa nei cda delle controllate è al 7,6%), tutto rischia di cambiare
anche per gli uomini. Tanto più che la legge che il Parlamento aveva
varato un anno fa – dal 12 agosto entrerà in vigore per tutti, organismi
pubblici e privati. Per le società quotate, infatti, il regolamento era
arrivato già a febbraio ad opera della Consob, chiamata a vigilare
sull’ottemperanza delle nuove regole. E quindi anche lì,
nei prossimi 4 anni, sono in arrivo 700 consiglieri e 200 sindaci donna.
Una decisione che ha già sortito i suoi effetti, visto che nell’ultimo
anno e mezzo molte società hanno cominciato ad adeguarsi passando dal
6,75 per cento di presenza femminile alla fine del 2010 al 9,49 del mese
scorso. Adesso – mano a mano che arriveranno i rinnovi – dovranno fare
di più. Così come avverrà nel pubblico, dove a controllare non sarà la
Consob, ma direttamente il governo e il ministero per le pari
opportunità. La pena, per chi non si adegua dopo i richiami formali, è
la decadenza del cda.
A storcere il naso hanno cominciato in molti. Perché «le donne non sono
panda», come dice da sempre Emma Bonino. Perché non è con le quote che
si
raggiunge la parità, spiega chi è contrario a questa legge. Perché si
rischia che i cda si riempiano di «figlie di» e «amiche di». La
fondazione Bellisario ha risposto raccogliendo 2.500 curricula di donne
capaci (oltre il 90 per cento con una o più lauree, la metà con master
all’estero) «per dimostrare – dice la presidente Lella Golfo – che le
donne ci sono, ci sono da sempre. Adesso non si potrà far finta di non
vederle».
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