Inoltro questo materiale in parte già diffuso, accresciuto di un testo
pubblicato sul Messaggero di venerdì 13 luglio, poichè mi sembra importante
prendere coscienza dell'importanza di questa frammentazione dei servizi e delle
attività sanitarie.
pubblicato sul Messaggero di venerdì 13 luglio, poichè mi sembra importante
prendere coscienza dell'importanza di questa frammentazione dei servizi e delle
attività sanitarie.
E’
il primo venerdì di luglio quando davanti al timbratore si
materializzano i cartoni per gli imballaggi dello
sgombero. È tempo di trasferimenti, uno al posto dell’altro, l’altro al
posto del primo, genitori da una parte, adozioni dall’altra, fra gli
specialisti di un’ala periferica distrettuale. Sarà solo per sei mesi si
dice, poi si torna come prima. Oh
mein Gott, due traslochi in
sei mesi!?. Sei mesi o sei anni è solo questione di tempi, di punti di
vista e indubbiamente anche di salassi. Ma che cosa resta della
genitorialità, una volta intaccato quel principio che
non scinde né separa la maternità biologica da quella adottiva, il
bambino naturale dal bambino adottato? Sembrano cavilli in tempi di
crisi, eppure separare il Consultorio Familiare dal Servizio Provinciale
delle Adozioni è un mutamento che interroga la normativa
la quale, negli anni, ha confermato il valore dell’alta integrazione
sanitaria e sociale delle due aree di attività.
Rileggendo
la Legge sui Consultori, i Piani Regionali e, ancora, mettendo insieme
il bambino naturale con il bambino
adottato, si colgono due dati essenziali. Il primo è sottolineato dalla
pratica di una cura di comunità che tiene unite le fasi della vita
attraverso un unico legame di senso.
Il
secondo, mette in rilievo come la maternità sia l’esperienza
fondamentale che unisce il biologico con l’umano,
la natura con la cultura. Se lo specifico della condizione materna è
dotare di senso la propria esperienza e donare un pensiero d’amore al
bambino in grembo, allora l’adozione è atto insito in questo processo.
La vera madre è colei che “adotta” il suo bambino,
gli riconosce una propria soggettività, mette al mondo non un frutto
carnale ma un essere unico singolare e insostituibile.
Per
questo l’adozione non potrà mai essere una specializzazione della
maternità ma solo una forma che mette in rilievo
il carattere adottivo di ogni maternità. Dividere, distinguere,
separare la genitorialità adottiva da quella naturale, crea una
contrapposizione fra le fecondità dei corpi e le tipologie dell’amore,
fra genitorialità naturale e generatività sociale di cui
l’adozione è risorsa e alternativa all’abbandono di un bambino. Così
come avviene nelle maternità, anche nei Servizi, soprattutto quando sono
di eccellenza come i nostri Consultori o la nostra Psichiatria, si
rintraccia quell’inizio creativo che ha donato
loro identità e senso di esistere. Esattamente come succede per la
nascita e la crescita di un bambino, entrambi: essere umano e Servizi
necessitano di un pensiero nutriente.
Il
senso poi che un bambino ha per la madre e il senso che egli riceve da
lei danno forma al “legame” d’affetto,
di cura e di crescita nel cuore della comunità. Se questo “legame”
viene intaccato, la generatività rimane orfana del suo “luogo” naturale.
Allora, lo spazio affettivo abitato dall’esperienza della nascita
(biologica o adottiva) e della cura diventa interscambiabile
con il “posto” che, invece, è solo il contenitore fisico.
Separare le Adozioni dal corpo madre, cioè dall’Area Materno
Infantile del Consultorio, per collocarle altrove, è assegnare soltanto
un punto qualunque in uno spazio indifferente e togliere così il luogo
dell’integrazione, delle sinergie, delle relazioni
e dei legami di comunità.
Non
potranno, allora, che darsi maternità di serie A e maternità di serie B
in cui il valore dell’una metterà in
risalto il disvalore dell’altra, quest’ultima riposta fra gli
specialismi della sanità che curerà un femminile offeso dalla propria
incapacità generativa sottolineandone, appunto, l’incapacità
riproduttiva.
Se
invece si ritiene che il luogo sia fonte di soggettività, l’identità
che ne deriva non può essere un posto ma
uno spazio generativo. Per questo anche il trasferimento dello storico
Centro di Salute Mentale da Via De Paoli che s’insedierà al posto del
Consultorio e delle Adozioni Provinciali, mi crea l’amarezza d’assistere
alla nuova toponomastica dei Servizi che ridisegna
una mappa di legami spezzati.
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