martedì 30 luglio 2013
A ottobre l’assemblea nazionale di SNOQ
Il movimento SE NON ORA QUANDO, nato dalle piazze il 13 febbraio 2011 e consolidatosi alla fine dell’incontro nazionale di Siena dello stesso anno, è arrivato a una nuova svolta.Da più di due anni, nei territori di tutta Italia si sta lavorando sui temi cari alle donne e presenti all’interno della agenda politica Snoq (lavoro, salute, rappresentanza, rappresentazione, violenza di genere, welfare, ecc.) e SNOQ è oramai parte della realtà sociale.
Le donne protagoniste di questa pagina importante dell’attività politica e della vita culturale del nostro Paese sono arrivate alla conclusione che è giunto il momento di darsi una nuova struttura, un contenitore di pensiero e di azioni che permetta a tutte di agire quel pluralismo e quella condivisione che sono alla base dei documenti fondativi e che costituiscono il tratto distintivo del movimento.
Il Comitato Promotore che per primo ha dato impulso a Snoq ha lasciato il passo a un nuovo coordinamento nazionale che ha il mandato di organizzare la prima assemblea nazionale di questa nuova fase. Tale coordinamento, composto dalle portavoce dei comitati territoriali e tematici e da due gruppi generati dallo scioglimento del Comitato Promotore, Snoq Libere e Snoq Factory, ha un carattere di funzionalità nei confronti della assemblea nazionale che rimane comunque il momento sovrano nella vita del movimento.
L’assemblea nazionale, prevista per ottobre, servirà a definire temi, campagne, strategie di azione e la riorganizzazione dei comitati, in grado di rispondere a un movimento in crescita, che vuole essere un solido punto di riferimento per tutte le donne.
Per una migliore realizzazione di questo obiettivo, dal primo incontro del Coordinamento è stata allargata la struttura che curerà la comunicazione esterna del movimento e consentirà di mantenere attiva e puntuale la presenza di Snoq sui media e sui social network.
Nonostante il processo di riorganizzazione del movimento non sia facile, le donne hanno dimostrato e stanno dimostrando che assieme, con nuove modalità di confronto basate sulla convergenza e sulla ricerca del consenso, si può arrivare molto lontano.
venerdì 26 luglio 2013
Nasce l'Osservatorio sull'impatto di genere delle politiche pubbliche
Per Rita Ghedini (PD), poi, "è un modo per costringere tutte le istituzioni pubbliche a rispondere delle scelte politiche".
L'Osservatorio, come precisa il Sole24Ore,
dovrà effettuare ricognizioni della normativa di genere vigente,
raccoglie dati comparabili sulla parità di genere, quantifica le
ricadute sull'occupazione femminile degli investimenti e delle politiche
pubbliche su occupazione e informazione. Dovrà anche avviare
sperimentazioni finalizzate alla definizione di metodologie e indicatori
per la misurazione di fenomeni sociali ed economici. Trasmetterà al
Governo e al Parlamento entro il 30 giugno di ogni anno una relazione.
A
conclusione dell'incontro la Vice Ministra Maria Cecilia Guerra ha
detto: "La particolarità di questa proposta, rispetto ad altre
iniziative presentate sul tema, è che esso non pone l’accento solo
sull’emergenza femminicidio che io non considero un’emergenza ma il
risultato delle discriminazioni che la donna subisce nell’arco della
vita sin dalla scuola. Tutto ciò fa si che la nostra voce non riesce a
manifestarsi con il peso adeguato, su questo si incardina la violenza di
genere".
Qui sotto in allegato il testo integrale del ddl.
(Nella foto in alto l'incontro del 15 luglio 2013 al Senato per la democrazia paritaria, con Valeria Fedeli, Marisa Rodano)
(C.R.)
COMUNICATO STAMPA: IL CDA del Verdi
Questa non è un territorio per le donne!
E’ l’unica amara constatazione delle aderenti al movimento
SE NON ORA QUANDO di fronte alla nomina del nuovo CDA del teatro Verdi di
Pordenone. Alla guida del Verdi, Giovanni Lessio e nel
nuovo cda il giornalista ex presidente dell’associazione
culturale Thesis Nico Nanni (nominato dal Comune di Pordenone, uscente Mario
Puiatti); l’assessore provinciale Michele Boria (per la Provincia di Pordenone,
uscente Lorenzo Cella); il sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste Claudio
Orazi (per il Teatro Verdi di Trieste; uscente Fulvio Lizzul); Mario Puiatti
(per la Regione;
uscente Romanina Santin).
Ci si sono messi in tre: Sindaco, Presidente della Provincia
e Presidente della Regione per disattendere un Decreto presidenziale che
prevede gli equilibri di genere nelle nomine, attuando in certi casi un
balletto sospetto di incroci di cariche ai soliti noti.
E’ possibile che non cambi niente in favore della parità di
rappresentanza nemmeno quando ci sono norme che la tutelano? O forse i
risultati delle ultime elezioni che hanno visto aumentare la presenza femminile
nelle istituzioni sono considerate “contentino” bastevole a tacitare ogni altra
pretesa di equilibrio fra i generi?
Ricordiamo qui di seguito cosa prevedono le norme
vigenti, riservandoci di procedere con esposti a chi di dovere, se la
situazione non verrà rapidamente sanata.
IlDecreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 30 novembre
2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 28 gennaio 2013, in ottemperanza a
quanto previsto dall’articolo 3 della legge 12 luglio 2011, n. 120,
stabilisce i termini e le modalità di attuazione della disciplina
concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo
delle società, costituite in Italia, controllate ai sensi dell’articolo 2359
codice civile dalle pubbliche amministrazioni:
le società costituite in Italia non quotate
controllate ai sensi dell’articolo 2359 (primo e secondo comma) del codice
civile da pubbliche amministrazioni dovranno prevedere nei propri statuti che la
nomina degli organi di amministrazione e di controllo sia effettuata secondo
modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un
terzo di ciascun organo sociale (articolo 2 DPR. 251/2012);
il criterio delle c.d "quote" si
applica solo per
tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo
alla data di entrata in vigore del menzionato DPR 251/2012 (12 febbraio
2013) e che per il primo mandato la quota riservata al genere meno
rappresentato è pari ad almeno un quinto ( 20%) del numero dei componenti
dell’organo (articolo 3 DPR 251/2012), mentre per i successivi mandati la quota
da riservare al genere meno rappresentato è pari ad un terzo (33%);
qualora venga accertato il mancato
rispetto della quota, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro
delegato per le pari opportunità diffida la società a ripristinare
l’equilibrio tra i generi entro 60 giorni e in caso di inottemperanza alla
diffida è fissato un ulteriore termine di 60 giorni decorso il quale, ove la
società non provveda ad adeguarsi, i componenti dell’organo
decadono.
martedì 16 luglio 2013
Se Non Ora Quando due anni dopo
Pubblicato su da snoqfactory
Ormai, a distanza di due anni dall’incredibile esplosione del 13 febbraio 2011 possiamo dire che anche Senonoraquando ha seguito il destino carsico da cui avrebbe voluto con tutte le sue forze preservarsi. Naturalmente essere carsici non vuol dire sparire, come è avvenuto per alcuni movimenti misti (il movimento viola, i girotondi ed altri) ma essere a tratti visibili, a tratti invisibili agli occhi dell’opinione pubblica più vasta, a tratti organizzate, a tratti “rizomatiche”, come si usava dire negli anni settanta riferendosi a strutture non gerarchiche e non prevedibili nei loro sviluppi. Tuttavia, il primo e due giugno scorsi, durante un coordinamento nazionale dei comitati di Snoq, si è corso davvero il rischio che il movimento sparisse.
Uno dei documenti organizzativi suggeriva che l’unico elemento di unione fosse una “piattaforma digitale stabile e condivisa” perché “la leadership in tal modo deriverà dalla autorevolezza delle idee e delle azioni, dalla capacità concreta di includere tutte, di creare massa critica e di lasciare ampi spazi di libertà all’elaborazione”. L’altro documento, invece, suggeriva di “superare il vuoto di un rapporto non codificato fra il comitato promotore e i comitati e di favorire la democrazia dentro Snoq attraverso regole trasparenti di partecipazione e la definizione di un patto di reciproca responsabilità , nella chiarezza dei compiti e dei rispettivi ruoli” . Allo scopo forniva alcuni strumenti di governance del movimento: il coordinamento nazionale dei comitati con una rappresentante per ciascun comitato, l’assemblea generale, ed eventualmente un esecutivo da eleggere all’interno del coordinamento.
All’enorme distanza fra i due approcci va aggiunto l’estenuante logoramento che ha paralizzato per quasi un anno il comitato promotore. Quest’ultimo infatti si è presentato il primo giugno già scisso in due tronconi, di cui uno con un nome coniato in vista del coordinamento: “Snoq-Libere”, scelto con ogni probabilità per riferirsi allo spettacolo di Cristina Comencini (“Libere”, appunto) che ha fatto da battistrada al movimento. Va detto che il gruppo storico si è spaccato in due come una mela: Cristina Comencini, Serena Sapegno, Francesca Izzo da una parte; Francesca Comencini, Lunetta Savino e Valeria Fedeli dall’altra, per citare i nomi più noti. Va aggiunto per onestà (anche se in questa sede vorrei offrire qualche strumento di riflessione che ne prescinda) che io ho optato per il secondo gruppo. Anche questo gruppo, dopo pochi giorni, ha scelto a sua volta un nome: Snoqfactory. Per sottolineare lo spirito di laboratorio creativo e l’intenzione di valorizzare le competenze delle giovani donne nel mondo delle nuove forme di comunicazione.
Ma, per tornare alla cronaca, alla fine il buon senso dei comitati territoriali ha prevalso. Saranno loro ad animare il nuovo coordinamento nazionale, mentre il comitato promotore sparisce come tale, si trasforma in due gruppi tematici distinti, accolti su un piede di parità all’interno del coordinamento nazionale. A settembre la prova del pudding: entro quel mese, infatti, ci sarà un’assemblea nazionale molto meno romano-centrica delle precedenti, in cui le città, con le loro idee e le loro iniziative, saranno protagoniste. Sarà l’occasione per capire se Snoq riuscirà a vivere una seconda stagione, più federalista, più strutturata ed emotivamente più libera dalle tensioni di un comitato promotore che ha vissuto il successo del 13 febbraio con grande orgoglio, ma anche con l’incapacità di emanciparsi dal complesso del “best seller”. Quello che conduce alla disperazione la scrittrice di successo quando deve affrontare la seconda prova.
Sarà interessante esserci e osservare. E’ possibile che l’iniziale inclusività di Snoq possa riprendere ossigeno affidata alla responsabilità di nuove mani. L’unico terreno certo di unità fra le Snoqqine è che nessuna disprezza o rifiuta il lavoro istituzionale e la rappresentanza politica. Alcune sono disposte a correre in prima persona, altre pensano di non averne la vocazione, ma dal punto di vista dei principi poco conta. Diciamo che il terreno dell’uguaglianza (che non significa inconsapevolezza della differenza) è stato molto arato: nessuna è disposta a considerare irrilevante la democrazia paritaria, quali che siano le posizioni politiche di chi viene eletta. E’ un bel merito: le molte giunte 50% e 50%, che si susseguono, devono molto all’effetto alone dei momenti forti di Snoq. Per l’eterogenesi dei fini possono essere chiamate ad alte responsabilità donne molto lontane dalla cultura di Snoq, ma questo è connaturato al principio di uguaglianza.
Tutto il resto è un campo aperto di differenze. Provo a metterne in evidenza alcune.
Trasversalità o Autonomia. Una parte della cultura di Snoq è molto affezionata al concetto di trasversalità che tende a declinare tenendo conto soprattutto delle presenze e delle alleanze praticabili nell’arco parlamentare, siano esse di destra, di sinistra o di centro. Tende insomma a dare un ruolo di primo piano al “primato della politica”. Un’altra parte tende a preferire il concetto di pluralismo e di autonomia: in pratica è nella condizione materiale delle donne, giovani e meno giovani, povere e ricche, madri e non madri, lesbiche e no, occupate o disoccupate, che si fonda la ricerca e il messaggio politico. Questo non comporta necessariamente una scelta di sinistra, ma un metodo induttivo di approccio alla politica. E’ ovvio che questo metodo rende più sensibili ai problemi sociali.
Nomi e candidature. Una parte ritiene che avanzare formalmente nomi e candidature per incarichi politici e competizioni elettorali sia uno snaturamento di Snoq e che occorre ribadire il principio del 50% solo in termini generali. Altre sono stanche che siano gli uomini a scegliere le donne e ritengono che, a seconda dei rapporti di forza, è lecito (a volte opportuno) fare proprie liste, civiche o politiche, trattare, a viso aperto, con i partiti nomi che convincono, sostenere quelle che rischiano e si candidano.
Organizzazione o fluidità. Come è evidente dalla cronaca precedente, alcune ( paradossalmente quelle più distanti dal femminismo) propendono per una totale fluidità del modello organizzativo, mentre altre temono l’impermanenza delle strutture fluide e, anche se con molta prudenza e gradualità, tentano la strada, da molti anni inedita in Italia, dell’organizzazione.
Voto e regole. Il grande tabù. Grande ostilità a qualsiasi espressione della democrazia attraverso il voto da parte di Snoq-libere, atteggiamento prudente, ma non ostile al voto, se necessario, da parte di Snoqfactory e di molte città. Il problema è definire un organismo sovrano. Forse il coordinamento nazionale potrà essere considerato tale
Femminismo sì o no. Paiono molto lontani i tempi dello scontro frontale. Molti comitati locali sono eredi di gruppi femministi o dialogano con gruppi femministi delle città vicine. Alcuni comportamenti (non sempre i migliori) del femminismo storico sono stati interiorizzati quasi inconsciamente. Il melting pot (crogiolo) fa il suo mestiere e le acque carsiche si mescolano e si separano.
Non resta che aspettare settembre.
martedì 2 luglio 2013
833, il numero dei diritti e delle libertà. l’appello di SNOQ-Sanità
Maura Cossutta, portavoce di SNOQ-Sanità 26.6.2013
A 35 anni di distanza dalla legge 833 del 23 dicembre 1978 – che aveva istituito il Servizio Sanitario nazionale – le ragioni di quella straordinaria riforma restano più che mai attuali, ma più che mai inascoltate. Per la sanità pubblica il tempo è davvero ormai scaduto: non bastano più i convegni e le riflessioni, serve un’azione forte di protesta e di mobilitazione per salvare una conquista irrinunciabile per la civiltà del nostro paese, per la dignità delle nostre vite, per i diritti e le libertà di tutti, soprattutto delle donne.
Lo smantellamento del modello pubblico e universalistico della sanità è strisciante ma continuo; sono ormai milioni le persone che oggi rinunciano a curarsi e aumentano le disuguaglianze di salute territoriali e sociali; solo in 8 regioni sono garantiti i LEA (livelli essenziali di assistenza) e il federalismo sanitario è diventato un federalismo “d’abbandono”; i tagli ai Fondi per le politiche sociali e l’irrisorietà del Fondo per la non autosufficienza scaricano il costo sociale sul lavoro di cura non retribuito delle donne e sulla loro salute; l’aumento dei tickets – oltre che essere una tassa iniqua sulla malattia e non certo strumento di appropriatezza – stanno di fatto favorendo il privato; l’intramoenia da tempo non è più una libertà di scelta ma un pesante ricatto per chi non può aspettare i tempi delle indecenti liste di attesa; una sanità sempre meno pubblica e sempre meno universalistica sta profondamente minando il rapporto di fiducia dei cittadini; la competenza e il merito sono schiacciate da logiche di lottizzazione e da spinte hobbistiche; la sanità è solo considerata un costo e nonostante la rilevanza delle evidenze non è stata mai invece considerata un motore di sviluppo per il paese.
Oggi, invece di riprendere le ragioni della straordinaria riforma del 1978, continuano le rimozioni, le ambivalenze, i ritardi, gli errori. Gli anticorpi del pensiero riformatore sono stati bombardati da terapie spregiudicate, validate solo dalla ideologia dell’austerità. In sanità oggi va di moda parlare inglese (guardando a quello che sta succedendo in Inghilterra) o padano (riproponendo il modello bocconiano della separazione tra funzione di erogazione e di acquisto). L’idea che avanza è che la sanità pubblica non è più sostenibile, per aprire a nuove forme di finanziamento. Viene apertamente messo in discussione da una parte il modello di finanziamento, dall’altra il modello organizzativo-gestionale del nostro Sistema Sanitario nazionale, snaturandone i nessi con le finalità stesse del modello istituzionale pubblico e universalistico.
Per questo, a 35 anni di distanza dalla legge 833, “Se non ora quando? Sanità” lancia un appello:
“833, IL NUMERO DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ”. Riprendiamoci quella riforma!
Prepariamo una grande manifestazione per il 23 dicembre prossimo, promuovendo fin da oggi tante iniziative -piccole, grandi, non importa, ma tante, tantissime, nei luoghi più diversi. Donne e uomini insieme, ognuno con le proprie storie, ognuno con i propri linguaggi. Non “a fianco” o “in nome” di qualcuno, ma “insieme”, uniti al di là delle sigle e delle appartenenze di ognuno, superando autoreferenzialità, parzialità, diffidenze, promuovendo la più ampia partecipazione e un lavoro vero di rete, tra pari.
Riprendiamoci quella riforma, perché il diritto alla salute è il “diritto forte” che riconosce e promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili, che parla dei nostri corpi, delle nostre vite, delle nostre differenze, del modo di vivere e di pensare di ciascuno di noi, del lavoro che c’è e che non c’è, dell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo, delle relazioni umane tra le persone e nella comunità, della relazione tra le donne egli uomini.
Riprendiamoci quella riforma, perché madre di tutte le battaglie democratiche, non quelle di una democrazia soltanto “decidente”, ma di una democrazia “sostanziale”, “emancipante”, “non escludente”, che promuove la rimozione delle cause delle disuguaglianze, che sa nominare l’uguaglianze dei risultati e non solo quella delle opportunità, che declina i diritti in modo plurale, che sa riconoscere le differenze per non trasformarle in disuguaglianze, che accoglie la laicità come suo valore fondante.
“833, IL NUMERO DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ”.
Ci piacerebbe che ripetessimo tutti questo numero come un mantra, ovunque, nei luoghi di lavoro e nei quartieri, negli ospedali e nei teatri, nelle università e nei giornali. Un numero per ricordare una storia, un pensiero, per difendere valori e principi, per difendere quella che è stata e continua a essere una grande speranza di cambiamento!
SE NON ORA, QUANDO?
A 35 anni di distanza dalla legge 833 del 23 dicembre 1978 – che aveva istituito il Servizio Sanitario nazionale – le ragioni di quella straordinaria riforma restano più che mai attuali, ma più che mai inascoltate. Per la sanità pubblica il tempo è davvero ormai scaduto: non bastano più i convegni e le riflessioni, serve un’azione forte di protesta e di mobilitazione per salvare una conquista irrinunciabile per la civiltà del nostro paese, per la dignità delle nostre vite, per i diritti e le libertà di tutti, soprattutto delle donne.
Lo smantellamento del modello pubblico e universalistico della sanità è strisciante ma continuo; sono ormai milioni le persone che oggi rinunciano a curarsi e aumentano le disuguaglianze di salute territoriali e sociali; solo in 8 regioni sono garantiti i LEA (livelli essenziali di assistenza) e il federalismo sanitario è diventato un federalismo “d’abbandono”; i tagli ai Fondi per le politiche sociali e l’irrisorietà del Fondo per la non autosufficienza scaricano il costo sociale sul lavoro di cura non retribuito delle donne e sulla loro salute; l’aumento dei tickets – oltre che essere una tassa iniqua sulla malattia e non certo strumento di appropriatezza – stanno di fatto favorendo il privato; l’intramoenia da tempo non è più una libertà di scelta ma un pesante ricatto per chi non può aspettare i tempi delle indecenti liste di attesa; una sanità sempre meno pubblica e sempre meno universalistica sta profondamente minando il rapporto di fiducia dei cittadini; la competenza e il merito sono schiacciate da logiche di lottizzazione e da spinte hobbistiche; la sanità è solo considerata un costo e nonostante la rilevanza delle evidenze non è stata mai invece considerata un motore di sviluppo per il paese.
Oggi, invece di riprendere le ragioni della straordinaria riforma del 1978, continuano le rimozioni, le ambivalenze, i ritardi, gli errori. Gli anticorpi del pensiero riformatore sono stati bombardati da terapie spregiudicate, validate solo dalla ideologia dell’austerità. In sanità oggi va di moda parlare inglese (guardando a quello che sta succedendo in Inghilterra) o padano (riproponendo il modello bocconiano della separazione tra funzione di erogazione e di acquisto). L’idea che avanza è che la sanità pubblica non è più sostenibile, per aprire a nuove forme di finanziamento. Viene apertamente messo in discussione da una parte il modello di finanziamento, dall’altra il modello organizzativo-gestionale del nostro Sistema Sanitario nazionale, snaturandone i nessi con le finalità stesse del modello istituzionale pubblico e universalistico.
Per questo, a 35 anni di distanza dalla legge 833, “Se non ora quando? Sanità” lancia un appello:
“833, IL NUMERO DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ”. Riprendiamoci quella riforma!
Prepariamo una grande manifestazione per il 23 dicembre prossimo, promuovendo fin da oggi tante iniziative -piccole, grandi, non importa, ma tante, tantissime, nei luoghi più diversi. Donne e uomini insieme, ognuno con le proprie storie, ognuno con i propri linguaggi. Non “a fianco” o “in nome” di qualcuno, ma “insieme”, uniti al di là delle sigle e delle appartenenze di ognuno, superando autoreferenzialità, parzialità, diffidenze, promuovendo la più ampia partecipazione e un lavoro vero di rete, tra pari.
Riprendiamoci quella riforma, perché il diritto alla salute è il “diritto forte” che riconosce e promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili, che parla dei nostri corpi, delle nostre vite, delle nostre differenze, del modo di vivere e di pensare di ciascuno di noi, del lavoro che c’è e che non c’è, dell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo, delle relazioni umane tra le persone e nella comunità, della relazione tra le donne egli uomini.
Riprendiamoci quella riforma, perché madre di tutte le battaglie democratiche, non quelle di una democrazia soltanto “decidente”, ma di una democrazia “sostanziale”, “emancipante”, “non escludente”, che promuove la rimozione delle cause delle disuguaglianze, che sa nominare l’uguaglianze dei risultati e non solo quella delle opportunità, che declina i diritti in modo plurale, che sa riconoscere le differenze per non trasformarle in disuguaglianze, che accoglie la laicità come suo valore fondante.
“833, IL NUMERO DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ”.
Ci piacerebbe che ripetessimo tutti questo numero come un mantra, ovunque, nei luoghi di lavoro e nei quartieri, negli ospedali e nei teatri, nelle università e nei giornali. Un numero per ricordare una storia, un pensiero, per difendere valori e principi, per difendere quella che è stata e continua a essere una grande speranza di cambiamento!
SE NON ORA, QUANDO?
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