lunedì 20 febbraio 2012

Perché conviene investire sulle donne

Perché conviene investire sulle donne

Di Chiara Saraceno, da la Repubblica 20 febbraio 2012
Investire nelle donne converrebbe alla società, dal punto di vista dello sviluppo economico, del bilancio fiscale, dell´utilizzo pieno di tutte le risorse umane disponibili. Ma per investire nelle donne e favorirne una partecipazione al mercato del lavoro adeguata alle loro capacità e competenze, sono molte le cose che dovrebbero cambiare nell´organizzazione del mercato del lavoro, nell´offerta di servizi e nella divisione del lavoro tra uomini e donne in famiglia. Gran parte del benessere familiare è infatti a carico del lavoro gratuito delle donne. E l´assenza di servizi di cura, non solo per i bambini, ma per le persone non autosufficienti, è compensata solo dal lavoro gratuito di mogli, madri, figlie, nuore, nonne.
Già ora le donne stanno salvando, se non l´Italia, gli italiani, tramite il loro lavoro gratuito quotidiano – che non viene meno neppure quando hanno un lavoro per il mercato e che la crisi ha in molti casi intensificato. Senza questo lavoro gratuito, le famiglie sarebbero molto più povere e molti bisogni di cura rimarrebbero insoddisfatti. Esso andrebbe meglio e più equamente ridistribuito, tra uomini e donne, tra famiglia e società. E l´organizzazione del mercato del lavoro dovrebbe meglio riconoscerne la necessità, per le donne e per gli uomini.
Come è stato ricordato di recente agli Stati generali sul lavoro delle donne organizzati presso il Cnel, le lavoratrici italiane che hanno una famiglia lavorano complessivamente, tra lavoro pagato e non pagato, oltre un´ora in più al giorno dei loro compagni. Tuttavia guadagnano sostanziosamente meno dei loro colleghi; perciò accumulano anche una minore ricchezza pensionistica. La loro capacità di guadagno, infatti, è compressa due volte. La mancata condivisione del lavoro familiare da parte degli uomini, unita ad una bassa offerta di servizi di cura accessibili e di buona qualità, vincola il tempo che possono dedicare al lavoro remunerato.
A ciò si aggiungono le discriminazioni nel mercato del lavoro – nelle possibilità di carriera e nelle retribuzioni orarie, a parità di qualifiche – che, come segnalano anche i dati di Almalaurea per quanto riguarda le giovani laureate, iniziano prima ancora che le donne formino una famiglia. Se poi sono lavoratrici “flessibili”, si trovano spesso costrette a considerare una possibile gravidanza come un rischio professionale che non possono permettersi.
Molte donne ancora oggi abbandonano il lavoro per motivi familiari, perché non ce la fanno a tenere il ritmo del doppio lavoro, spesso accompagnato da pressioni e vessazioni più o meno sottili sia in casa (perché “trascurano la famiglia”) sia sul lavoro (perché “hanno la testa altrove”). Soprattutto se sono a bassa qualifica e vivono al Sud, la maggior parte delle donne, anche giovani, non entra neppure nel mercato del lavoro, o viene scoraggiata presto dal presentarsi. Costituiscono la stragrande maggioranza dei “Neet”: dei giovani che né studiano né lavorano per il mercato.
Costituiscono anche la grande maggioranza sia dei lavoratori scoraggiati sia dei disoccupati invisibili: di coloro che vorrebbero lavorare, ma non cercano più, e di coloro che, pur dichiarandosi non forze di lavoro, di fatto si arrabattano tra un lavoretto e l´altro. Un rapporto Svimez uscito in questi giorni stima che queste due figure coinvolgono oltre un milione di donne nel Mezzogiorno, portando il tasso di disoccupazione femminile effettivo al 30,6%, il doppio di quello ufficiale.
L´Italia è uno dei paesi sviluppati con un divario di genere tra i più alti a tutti i livelli: nei tassi di partecipazione al mercato del lavoro, nel divario salariale a parità di titolo di studio e di mansione, nelle possibilità di carriera, nella presenza nei luoghi di presa di decisione, quindi nel potere, nella divisione del lavoro familiare.
È un divario aggravato dalle disuguaglianze sia territoriali che di istruzione. Anche questo è uno spread di cui ci si dovrebbe preoccupare ai fini non solo dell´equità, ma dello sviluppo. Credo che i suoi effetti negativi siano almeno altrettanto gravi, se non peggiori e con effetti di più lungo periodo, di quelli dello spread con i bond tedeschi.

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