domenica 29 aprile 2012

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-722039ee-34de-4c33-8447-a75b640e550d-tg3.html#p=0

Vedi il video del servizio del Tg3 sulla mattanza di donne uccise dall'inizio dell'anno, ben 54

SNOQ di pordenone aderisce all'appello contro la violenza sulle donne, inflitta per mano di chi dovrebbe condividere con felicità una vita in comune, invece da la morte a colei che subisce un rapporto di coppia sbagliato.
Una violenza continua, perpetuata da chi è più vicino alla vittima, che fonda le basi su una presunta superiorità inculcata da una educazione, da una concezione dell'altro del tutto sbagliata, continuamente proposta da una società che è incapace di trovare coesione, inclusione e una prospettiva di vita vera fatta di valori condivisi.

Per combattere la strage di donne bisogna cominciare dall’infanzia

di Lea Melandri da Corriere della Sera, 28 aprile 2012
«Ma come si fa a uccidere una ragazza per un litigio?», si è chiesto il padre di Vanessa Scialfa, la giovane di Enna vittima del fidanzato. La domanda segnala l’incredulità di fronte al ripetersi quasi quotidiano di una violenza che inspiegabilmente esplode all’interno dei legami più intimi. Ma è proprio vero che le ragioni del perverso annodamento tra odio e amore, rabbia e tenerezza, presente da sempre nei legami di coppia e nelle relazioni familiari, sono insondabili? Se la pulsione aggressiva è così diffusa, tanto da poterla riportare al «millenario addestramento» dell’uomo a considerare la donna un suo naturale possesso, se ne deduce che il passaggio all’azione dipende solo dal grado diverso di intensità e di controllo del singolo. Dunque, se scartiamo l’ipotesi di una connaturata malvagità del sesso maschile, possiamo pensare che un cambiamento venga dalla cultura, dall’educazione, dalle leggi, da una conoscenza di sé e dell’altro più consapevole della barbarie che ci portiamo dentro, nostro malgrado. Il femminicidio si può fermare.
Purtroppo però neppure questa sembra, al presente, una strada facile da percorrere, come sa chi ha tentato di rimuovere dalla prima infanzia pregiudizi atavici, «differenze» di identità e di ruoli, precocemente interiorizzati, che costringono i maschi e le femmine a contrapporsi in modo astratto e deformante: da una parte la forza, la padronanza del mondo, dall’altra la docilità e la dedizione alla famiglia.
Un ostacolo viene dai bambini stessi, accomunati da stereotipi che portano i segni della cultura maschile dominante, ma fatta propria da entrambi i sessi. Non c’è niente di più diseducativo per le donne che rivestire il ruolo ambiguo, contraddittorio, di un genere umano che conta meno dell’altro, marginale nella sfera pubblica e sottomesso in quella privata, e che al medesimo tempo viene ritenuto responsabile della sua crescita, della sua felicità, della sua riuscita sociale. Le esperienze innovative fatte in alcune scuole primarie in Italia, e persino nella liberale Svezia, per promuovere relazioni tra i sessi meno condizionate dalle identità di genere, e dalle logiche di potere che vi sono connesse, dimostrano che siamo ancora lontani da quello che è stato il fattore primo e più duraturo del disagio della civiltà.

Nessun commento:

Posta un commento