martedì 29 maggio 2012

Violenza sulle donne problema degli uomini


di Mariella Gramaglia da La Stampa, 29 maggio 2012
Alla larga dell’esotismo. Il bel viso incorniciato dal bordo del sari della giovane Kaur Balwinde non autorizzi nessuna fuga nell’illusione di costumi e crudeltà lontane. E’ vero che il marito, recentemente immigrato dall’India, l’ha strangolata e gettata nel Po mentre era incinta di tre mesi. E’ vero che la donna lascia un’altra creatura di cinque anni senza parenti e senza protezione. E’ vero, infine, che il suo corpo è stato ritrovato nel fiume dopo quindici giorni da un pescatore romeno, come in un poliziesco sgangherato che narra storie di marginali.
Ma nelle stesse ore a Salerno un italianissimo signore di 57 anni colpiva la moglie, che non si decideva a concedergli la separazione, con lesioni gravissime, lanciandole in faccia una bottiglia di acido muriatico. Come succede in Pakistan, in Bangladesh e nel nostro inferno quotidiano.
C’è uno strato roccioso, buio, sotterraneo, nei rapporti fra uomini e donne, soprattutto fra quelli che si frequentano, si uniscono e dovrebbero amarsi, che si chiama violenza e che, nella quasi totalità dei drammi, conosce una sola direzione: da lui a lei. Nel settanta per cento dei casi – ci informano le statistiche – se una donna viene assassinata, il suo aguzzino le era vicino e, nel suo delirio, non di rado riteneva di essere pazzo di lei. E’ così dove forme di diritto legate al fondamentalismo religioso autorizzano al possesso, è così nel nostro rancoroso Paese che sembra voler metter piombo nelle ali delle donne che cercano la loro strada, è così persino in Norvegia, dove l’allarmato ministro della Giustizia anima, insieme all’ex premier spagnolo José Luis Zapatero, una commissione dell’Onu contro la violenza sulle donne. Sembra che il femminicidio – così molte femministe chiedono di chiamarlo, in analogia con il genocidio, per marcarne la potenza distruttiva – abbia una sua cupa autonomia rispetto ad altre forme di libertà o illibertà femminile.
«Se non ora quando», nel giorno del cinquantaquattresimo femminicidio italiano del 2012, il 27 aprile scorso, ha chiesto ai cittadini e alle cittadine del nostro Paese di considerare la questione un’emergenza di primo piano e alla stampa e agli opinion leaders di non sottovalutare il fenomeno, di non esserne più complici involontari.
La storia ci ha insegnato che l’odio per gli ebrei è un problema degli antisemiti e ci ha imposto di guardare dentro di noi. Ora può insegnare che la violenza sulle donne è un problema degli uomini.
Sono migliaia quelli che hanno aderito all’appello: sindaci di grandi città, beniamini del pubblico, intellettuali. Ne cito a caso alcuni: Giuliano Pisapia, Piero Fassino, Roberto Saviano, Luciano Ligabue, Ernesto Galli della Loggia, Marino Sinibaldi. Perché non vanno oltre un piccolo gesto encomiabile, ma anche facile da riporre tra le pieghe della vita quotidiana? Perché non si prendono cura di se stessi e dei loro simili, così inconsapevoli nel tracciare i confini tra l’odio e l’amore? Se organizzassero occasioni ed eventi per ridare ai sentimenti maschili i giusti nomi e i giusti aggettivi, quelli che non graffiano la carne altrui, credo che alle donne non dispiacerebbe osservarli al lavoro.

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